Rimedi di cura, preghiere di guarigione

Massimo Angelini

RIMEDI DI CURA, PREGHIERE DI GUARIGIONE

Un giorno venne da me uno sconosciuto: era un monaco di clausura che elemosinava per il suo monastero. Mi parlò in modo assai persuasivo, spiegandomi che non dovevo affidarmi soltanto alle medicine, le quali, senza l’aiuto di Dio, non potevano darmi sollievo: dovevo pregare Dio, e pregarlo con impegno, perché “l’orazione è il più potente mezzo di guarigione per tutte le malattie, sia corporali che spirituali.
Racconti di un pellegrino [1]

Intorno alla metà del secolo XVI fioriva un genere letterario di sapore naturalistico destinato ad avere ampia notorietà e diffusione per circa due secoli: i libri di secreti. [2] Non mi soffermo sulla sua nascita, fortuna e declino, già raccontata da Lynn Thorndike nella monumentale Storia della scienza magica e sperimentale [3] e di recente approfondita con cura da William Eamon e da Massimo Rizzardini. [4] Invece, vorrei proporre una riflessione sul confronto che si può tracciare fra le ricette dei medici empirici espresse nei secreti – qui mi riferirò specificamente alla ricca produzione dei testi tardo-rinascimentali scritti in Italiano – e alcuni rimedi terapeutici popolari germinati tra la gente e noti ancora oggi nel mondo rurale. Proverò a suggerire che per quanto le ricette degli empirici e i rimedi popolari si siano reciprocamente influenzati e contaminati, tuttavia le ragioni e i fondamenti che li sostengono, almeno per cosa riguardi i rimedi espressi nella forma delle segnature, sono profondamente differenti e, per certi aspetti, di segno opposto.

1. Tesori e secreti
I libri di secreti consistono in raccolte di ricette, comunemente aperte dall’espressione recipe (“prendi”, e proprio da questa parola deriva “ricetta”) o più familiarmente da “piglia”, articolate secondo una breve esposizione di ingredienti, dosi e procedure. Sono ricette di varia natura che riguardano materie diverse: cosmetica, metallurgia, cucina, economia rurale e domestica, anche intrattenimento, [5] ma soprattutto descrivono medicamenti e antidoti per la cura di disturbi e malattie. Il titolo di un compendio pubblicato intorno alla metà del secolo XIX riunisce una straordinaria varietà di argomenti trattati:

Il libro dei segreti: manuale alfabetico di ricette. metodi, nozioni e consigli concernenti l’igiene, la medicina domestica, le scienze naturali, le arti, i mestieri, l’industria, le masserizie, l’economia rurale, l’arte del confettiere, la cucina, la caccia, la pesca, i divertimenti chimici, ecc. nonché alcuni dilettevoli giochi, scherzi e burle. [6]

A volte i medicamenti sono separati dalle altre ricette,[7] a volte sono mescolati senza un ordine apparente o, addirittura, sono confusi nella stessa pagina dove, uno accanto all’altro, si possono trovare un rimedio contro la peste, una formula per produrre un buon inchiostro, una ricetta del belletto per schiarire la carnagione e un metodo per smacchiare gli abiti.

A rompere la pietra o l’arenela
Recipe lo sangue et la pelle della lepore, et cosela in una olla di terra et poy la bruxa e fane polvere. Et de quella polvere da a bevere, con aqua calda, alo infermo tanta polvere quanta starebe in uno cugiaro et serà libero de certo.

A vedere se hè aqua nel vino
Recipe osso de persico chi sia bem seco e tagialo per meità et metilo dentro el vino. Ce ci è aqua va a fondo e torna suzo e se non ge aqua sta al fondo.

Per ingessare una tavola per disegnare
Recipe osso de castrone ben arso in bianco et ben maxinato cum aqua; lassalo secare e fane pani. Et se voi imbianchare la tavola per designare, pigiane un poco col ditto, et col sputo fregala et lassa un poco secare e poi designa. Et così se fa in carta como è dicto de sopra. [8]

Se la compresenza (talvolta, la confusione) di ricette di varia natura nella stessa pubblicazione è elemento comune tra i libri di secreti, l’aspetto che più di ogni altro riconduce la loro produzione tardo-rinascimentale a un genere autonomo è il carattere divulgativo e pratico: infatti, si tratta di libri relativamente economici per formato e qualità, scritti in un linguaggio agile e apparentemente accessibile a molti e stampati in lingua volgare, dunque destinati a un pubblico potenzialmente ampio quanto il numero di chi sa leggere. Proprio l’apertura alla divulgazione e l’apparente accessibilità dei testi rappresentano per la materia medica e più in generale per cosa riguardi la cura delle malattie un motivo di evidente innovazione rispetto al passato, se si considera che la precedente trattatistica medica era scritta pressoché esclusivamente in latino, era basata su un impianto teorico astratto dalla pratica terapeutica ed era impermeabile alla divulgazione popolare. [9]
Forse la prima opera del nuovo genere, comunque quella che ha segnato l’inizio della sua fortuna editoriale, è il De’ secreti del reverendo donno Alessio Piemontese (1555), [10] autore (o personaggio) che nel tempo è stato al centro di un riconoscimento incerto e ancora oggi sfugge allo sguardo degli storici. Il libro di Alessio conoscerà decine di ristampe e per molto tempo rappresenterà un modello, insieme con i Secreti medicinali (1561) del medico bolognese Leonardo Fioravanti e con quelli, pubblicati nello stesso anno, da una non meglio identificata Isabella Cortese. [11] Sulla spinta di questi primi impulsi, nel 1560 l’erudito naturalista e filosofo napoletano Giovanni Battista della Porta ripubblica in volgare le ricette raccolte nei quattro libri dedicati alla magia naturale (1558), [12] e, nello stesso anno, esce in Italiano il Thesaurus de remediis secretis (1552) di Konrad Gesner. [13]
In questo periodo, a fianco dei secreti, e a questi strettamente contigui per argomento e carattere divulgativo, si diffondono, sempre in volgare, i tesori: raccolte ordinate di profili dedicati ad alimenti, erbe, metalli e altre categorie.
Dei tesori e dei secreti provo a mettere in evidenza gli aspetti di distinzione più rilevanti, sapendo che l’enfasi sulle differenze serve al loro riconoscimento e per disegnare un ordine dove in apparenza non sarebbe agevole vederlo. Al di là del riconoscimento di generi e modelli terapeutici diversi, tuttavia ricordiamo che bisogna essere cauti nei confronti delle distinzioni troppo rigide, soprattutto nel caso dei tesori e dei secreti, dove si incontrano continue intersezioni e contaminazioni fra i due generi. I colori della realtà non si presentano in campiture nette di tinte forti e separate, quanto in distese di sfumature di toni confusi e indeterminazioni sottili: come l’arcobaleno, se si osserva senza fretta. Lo stesso richiamo alle semplificazioni che aiutano a porre in evidenza gli elementi di caratterizzazione vale anche per le successive distinzioni che presenteremo a proposito di medicina empirica e popolare ed è cautela che potrà essere mantenuta viva nel prosieguo della riflessione.

Tesori e secreti sono organizzati secondo schemi costanti.
Nei tesori, una parte introduttiva è dedicata a cosa può fare bene o male nella vita di ogni giorno, “come sono l’aere, il moto et la quiete, la repletione et inanitione [mangiare troppo o troppo poco], gli accidenti dell’animo, et il cibo et il bere”, [14] ma anche il sonno, il bagno e i massaggi: sono queste le cose non naturali accennate dal medico bresciano Bartolomeo Boldo nel suo Libro della natura (1575). [15] Poi seguono i profili dove alla descrizione sommaria di un’erba, di un alimento, di una bevanda, sono associate altre informazioni, tra queste: le virtù terapeutiche, le controindicazioni nell’uso e la natura espressa per qualità (freddo, caldo, umido, secco) e grado d’intensità (dal I al IV in ordine crescente). Ecco un esempio di profilo.

Borragine
Elettione. Quella ch’è in uso commune, la quale è la vera Buglossa descritta da gli antichi, e si colga co’ fiori.
Giovamenti. Purifica maravigliosamente il sangue, rallegra il cuore, e gli spiriti, giova a i convalescenti, e conforta tutte le viscere.
Nocumenti. Non si digerisce molto presto, ma particolarmente è contraria a quei, che hanno le fauci ulcerate.
Rimedio. Se si cuoce nel brodo di buona carne, si fa più digeribile, e perde ogni asprezza, del resto ella è senza malitia a fatto.
Gradi. È calda, et humida nel primo grado.
Tempi Etadi Complessioni. Questa conferisce, et è buona in tutti i tempi, a tutte l’etadi et a tutte le complessioni. [16]

Anche se i tesori qualche volta possono essere confusi con i secreti – e non senza motivo, perché nei fatti i due generi letterari si intrecciavano, oltre che nei contenuti, anche nella titolazione – [17] alcuni aspetti aiutano a distinguerli. I tesori sono la vulgata degli herbari, ma anche dei lapidari e dei bestiari medievali, e tra i modelli che più direttamente li influenzano è il trattato sulle proprietà dei cibi di Galeno (II secolo). [18] L’approccio terapeutico al quale si conformano vive nella tradizione ippocratica e galenica, dove al semplice o al medicamento, a partire dalla sua qualità specifica e del suo grado d’intensità, è demandato il riequilibrio degli umori (flegma, bile gialla, bile nera, sangue) in relazione al temperamento del paziente (flemmatico, collerico, melanconico, sanguigno). I rimedi indicati nei tesori, a differenza di quelli dettati tra i secreti, sono attenti alle caratteristiche individuali, sono orientati alla persona più che alla malattia e, di conseguenza, al mantenimento della salute e alla prevenzione dei disturbi più che al loro contrasto, secondo un filone di pensiero attento alle buone pratiche igieniche che, passando per la spagiria di Paracelso, l’omeopatia di Hannemann o la macrobiotica di Hufeland, [19] dalla Scuola Salernitana attraversa la storia della medicina fino ai nostri giorni. Ancora oggi il genere dei tesori trova ampia difusione nella manualistica divulgativa sull’uso sapiente di erbe e alimenti, attraverso pubblicazioni di grande consumo e uso domestico, come in Italia è il popolare Segreto della salute, di Frate Indovino. [20]

Altro si può dire dei secreti: anch’essi arrivano da una corrente che nel tempo si è alimentata dalle ricette testimoniate e tramandate da numerose auctoritates – Plinio, Avicenna, Alberto Magno, Raimondo Lullo … –, da scritti specialistici e manuali di artigiani, da trattati di mirabilia e, non ultima per influenza e importanza, dalla tradizione orale e locale dei rimedi popolari, ma – diversamente dai tesori – la loro fortuna è rimasta confinata al periodo compreso tra la metà dei secoli XVI e XVIII, in seguito lasciando il passo alla farmacopea specialistica e ai ricettari dell’arte medica. Se i tesori presentano profili descrittivi di caratteristiche, proprietà e virtù, nei secreti sono raccolte solo brevi ricette, premesse da un titolo riferito alla malattia da guarire, con ingredienti, dosi, procedure e risultato atteso, di tanto in tanto confortato da un’esplicitazione di garanzia: “è cosa provata”; “è stato provato da molti”; “vedrai miracoli”. [21] Più che al mantenimento della salute, le ricette sono tese a contrastare e risolvere la malattia, indipendentemente dalle caratteristiche del malato, e per questo i secreti per eccellenza sono quelli che al lettore rivelano la panacea e la teriaca: medicamenti e antidoti efficaci per tutte le persone e per ogni disturbo. Differentemente dall’approccio che anima i tesori, quello dei secreti per molti aspetti, considerate le dovute tarature e distinzioni, è paragonabile all’orientamento terapeutico che guida la medicina odierna, e gli stessi medicamenti non sono distanti dai farmaci attuali.

In stretta sintesi, la distinzione fra tesori e secreti è quella tra una terapeutica che previene la malattia e una che la contrasta, così come Castore Durante, medico di Gualdo Tadino, nel 1586 accenna nel prœmio al Tesoro della sanità: “Fu da Dio Benedetto per conservatione della sanità data la medicina, la quale in due parti dividesi: La prima conserva la sanità presente, et l’altra la perduta ricupera”. [22]

2. Segreti empirici e rimedi popolari
Le raccolte di secreti, attingono anche ai rimedi tramandati tra popolani e contadini e a loro volta li informano. Tuttavia la medicina empirica dei compilatori di secreti non deve essere confusa con gli usi curativi popolari, e qui ci riferiamo a quelli che si esprimono con preparazioni semplici (miscugli, decotti, infusi, cataplasmi) di piccola erboristeria locale o – e su questo, da ora, concentriamo la nostra attenzione – attraverso le segnature (o scontraddizioni), dove le malattie sono scongiurate, ovvero prevenute o fermate all’inizio della loro manifestazione, oppure guarite attraverso semplici elementi come, per esempio, sono l’acqua, l’olio e il sale, accompagnati da preghiere, oggetti benedetti e gesti rituali: il segno della croce più di ogni altro. [23]
Sono diverse la natura dei rimedi, gli operatori della salute, i veicoli, i modi e le attribuzioni dei meriti. Se succede che tra le pratiche terapeutiche popolari si possano trovare ricette degne dei secreti, è raro che, al contrario, tra i secreti – così come li abbiamo riconosciuti da Alessio Piemontese in avanti – si trovino preghiere, invocazioni di guarigione, formule di intonazione religiosa o descrizioni di atti sacramentali. [24]

Per meglio osservare le differenze tra rimedi empirici e popolari, vediamo alcuni rimedi per la cura degli ossiuri – i “vermi” parassiti dei bambini – com’è proposta in due libri di secreti dei secoli XVII e XVIII [a, b] e attraverso una testimonianza raccolta ai nostri giorni sulla montagna alessandrina [c]. [25] Gli ossiuri, si crede, possono arrivare al cuore o risalire l’esofago e soffocare il bambino che n’è affetto; [26] i sintomi sono pallore, evidenti segni di malessere, inappetenza e difficoltà di respirazione.

a. Piglia di Argento vivo quanto ti piace, ponilo dentro un vaso di vetro, sopra infondendovi acqua comune distillata, o altra simile contro vermi; e poi dimena per mezz’ora di continuo il vaso finche appare l’acqua con qualche color celestino. Separa l’acqua dal Mercurio, serbandola come tesoro nelle molestie de i vermi, bevendone un poco a digiuno. [27]

b. Piglia dell’aglio, dell’amenta, e dell’aruta, pistala bene, misce con aceto ben forte, la farai come unguento, e l’applicherai sul ventre, e bocca di stomaco della persona delle sera al mattino; e se occorre replica e farà effetto. Gioverà, più megliormente, sepurta [diluita] in aceto più assai a guisa di bevanda. [28]

c. D. per segnare i vermi utilizza un piatto fondo con dell’acqua dentro e un lumino a olio. Dopo essersi fatta il segno della croce lo accende e disegna sopra al piatto tre cerchi concentrici a partire dal più grande fino al più piccolo in senso antiorario. Disegna poi sopra al piatto una croce per tre volte. La terza volta la prolunga come per indicare che porta via il male dal piatto (in gergo “gli dà il giro”). Poi si fa nuovamente il segno della croce, si bacia il dito e lo immerge nell’olio del lumino; lascia cadere tre gocce d’olio nell’acqua del piatto: se queste gocce si allungano significa che i vermi ci sono, se restano rotonde allora la persona è guarita. [29]

Occorre comunque aggiungere che oltre al secreto empirico e alla segnatura, nel caso degli ossiuri (ma un rilievo analogo si può fare anche per altri disturbi), si poteva ricorrere anche a formule magiche [30] oppure a massaggi eseguiti anche, benché di rado, senza la recita di preghiere e l’accompagnamento di gesti sacramentali. [31]

La natura dei rimedi
Le ricette dei secreti sono basate su ingredienti presenti in natura. Normalmente non si trovano riferimenti al mondo soprannaturale, e – quando sussiste – il ricorso alla magia è riferito a forze (ancora una volta “naturali”) che regolano l’azione a distanza, la simpatia, l’attrazione e la repulsione tra i corpi e le sostanze. Dietro ai medici e ai naturalisti che compilano le raccolte di secreti agisce un tentativo di affrancamento della natura dalla cornice teologica per condurla all’interno di un quadro interpretativo improntato a una nuova razionalità scientifica. [32] Quello dei secreti è un dio che ha creato il mondo una volta per tutte, in esso mettendo a disposizione degli uomini tutte le risorse e forze e qualità che gli possono permettere di vivere bene e riconquistare la salute perduta.
Nei rimedi popolari, invece, il richiamo al soprannaturale è pressoché costantemente presente, e non ha una funzione accessoria ma essenziale per la guarigione. Dio, che trascende e nello stesso tempo è immanente al mondo, attraverso la sua Grazia può intervenire a ristabilire la guarigione, attraverso l’intimo potere analogico degli ingredienti usati più che attraverso le loro qualità materiali.

La semplicità dei rimedi
Gli ingredienti delle ricette possono essere parti non elaborate di erbe, animali, minerali, oppure preparazioni complesse (sublimati, distillati, tinture, unguenti, olii …), a volte tanto complesse o descritte in modo così vago, da fare dubitare che l’intento del compilatore fosse davvero divulgativo, come l’apparente semplicità e l’uso del volgare potrebbe indurre a credere. Evonomo Filatro, psudonimo di Konrad Gesner, nella prefazione al Tesauro de rimedii secreti (1560), informa che le ricette che si compiranno con maggiore fatica “non s’appartengono a’ Medici del volgo, né de poveri, ma à quelli ch’abbondano d’ocio [ozio] et di servitori, ò per chi praticano nelle corti de Prencipi, overo à filosofi che investigano i mirabili mutamenti et le forze di natura et in queste si dilettano”. [33] E anche quando si ricorre alla magia, all’azione a distanza, lo si fa sempre come ricorso a forze naturali che regolano l’attrazione e la repulsione. Tutto è inscritto all’interno di un ordine che nella natura pone i rimedi a ogni disturbo e a ogni malattia: dei loro poteri arcani sono profondi conoscitori i medici, i guaritori, i maghi (ci riferiamo alla magia naturale), preoccupati di non essere confusi con i ciarlatani e gl’imbonitori di piazza che per lucro millantano conoscenze che non hanno o l’efficacia di pozioni senza valore, se non addirittura pericolose.
D’altra parte, le formule delle segnature si accompagnano a erbe tratte dalla farmacopea contadina e a sostanze e prodotti semplici di uso quotidiano, non prevedono preparazioni complesse e, tendenzialmente, sono alla portata di tutti; queste erbe, questi elementi e prodotti semplici (l’acqua benedetta, l’uovo, il sale, l’olio, la cenere, il ramo d’ulivo …), sono comunemente associati ad atti sacramentali fatti di gesti, posizioni, rituali, preghiere di invocazione o scongiuro. Le stesse formule sono spesso organizzate per rime e assonanze, per facilitarne il ricordo ma anche perché la stessa ridondanza di suoni analoghi ha potere persuasivo: “se fa rima forse è proprio così”. San Giovanni non vuole inganni, sant’Antonio liberaci dal demonio sono di per sé più convincenti di quanto lo sarebbero se al posto di Giovanni e Antonio ci fossero Ignazio o Lucia che non sostengono la rima con gli inganni e con il demonio. La semplicità e la facile memorabilità delle formule sono funzionali alla possibilità che chi ne è degno possa curare con le segnature, anche se analfabeta. [34]

L’efficacia
Se nei secreti l’efficacia è legata alla perizia del guaritore e alla corretta esecuzione della ricetta, perché in questa risiede il potere di guarigione, nelle segnature è legata alla fede dell’operatore e – normalmente considerata efficace, ma non necessaria – del malato. L’acqua, l’olio, il sale benedetti non agiscono per le loro caratteristiche chimiche o fisiche ma per il valore sacramentale che la benedizione gli ha conferito e ne ha intriso la natura, rendendole veicolo di grazia. D’altra parte, nelle formule curative popolari è importante la corretta ripetizione della cura secondo una procedura che si ripete invariata nel tempo, dove invece nei secreti si coglie il gusto per il nuovo ritrovato, per il nuovo farmaco, efficace più di quelli che lo hanno preceduto. [35]

Gli operatori
Protagonista dei secreti è il medico, il guaritore, il mago (nel senso rinascimentale che identifica l’operatore della magia naturale): figure di uomini letterati e ben coltivati in chimica, medicina, botanica, che conoscono gli arcani della natura, le virtù e le proprietà dei suoi elementi, e le corrispondenze che li legano tra loro e con il cosmo.
Le segnature, ma più in generale le terapie della medicina popolare, sono eseguite da curatori che appartengono al popolo, qualche volta analfabeti, spesso dotati di particolari caratteristiche personali derivate dalla nascita: nati con la secondina e per questo considerati particolarmente fortunati – si dice “nascere con la camicia” –, settimini perché nati al settimo mese di gravidanza o ultimi nati di sette figli; oppure che hanno ricevuto il dono della cura trasmesso da un anziano, spesso un familiare, in punto di morte o in una notte di grande potere, come sono le notti di Natale o di san Giovanni Battista, o in un giorno di luna particolare.
Merita rilevare che gli autori dei secreti sono comunemente uomini, mentre i curatori che praticano le segnature sono comunemente donne.

Il campo d’intervento
Le ricette dei secreti curano ogni malattia, ogni disturbo, come conviene a un modello dove il medico/mago dispone di un potere immenso perché completa è la sua conoscenza della natura e dei suoi segreti. Come già osservato, ci troviamo di fronte a un modello che possiamo riconoscere ancora oggi nella corrente farmacopea legata alla malattia più che alla persona, e generata dall’onnipotenza di una medicina che non ha bisogno di nulla che oltrepassi i confini della natura.
Il campo di intervento dei curatori e delle segnature, invece, è limitato; correntemente si segnano le slogature, i vermi dei bambini, le febbri, l’orzaiolo e il rossore degli occhi, i porri, le emorroidi, le infiammazioni, la risipola, il fuoco di sant’Antonio (herpes) e poche altre malattie, oltre che il malocchio e la paura (l’ansia). Non tutti i curatori segnano tutte queste patologie, alcuni sono specializzati in uno o pochi disturbi.

I meriti della guarigione
In un contesto dove non c’è spazio per nulla che non sia naturale, il merito della guarigione è del medico o del mago e la guarigione accresce il suo potere personale, anche se agisce per filantropia, e ne legittima la ricompensa e la fama.
Nella medicina popolare delle segnature, la cura è proposta e guidata dall’uomo, ma è Dio che guarisce e a lui solo va il merito della guarigione. La guarigione può arrivare quando è chiesta in nome di Gesù o della santa Trinità. Per questo motivo, in questi casi, si parla di “curatori” più che di “guaritori”; per questo motivo al curatore non è permesso ricevere compensi in denaro – perderebbe il suo potere! – e quindi non è permesso arricchirsi attraverso quella che non è considerata un’abilità ma un dono. E proprio perché è veicolo di un dono, tramite di grazia verso il prossimo, al curatore non è permesso curare sé stesso.

I metodi di trasmissione
Anche sulle pratiche di trasmissione, tra le ricette e le formule, riconosciamo una polarizzazione di aspetti, quasi un’opposizione. Dove le ricette sono oggetto di trasmissione scritta e a un uditorio indifferenziato com’è normale che sia per un sapere pubblicato, invece, come invece conviene a una linea di trasmissione che passa da donna a donna e tra illetterati, le formule si trasmettono per via orale o per imitazione, e comunque non in modo indifferenziato, ma per elezione, per cooptazione, comunque con una scelta diretta degli anelli della catena di tradizione. 

La gratuità e la riservatezza
Se al medico è concesso trarre denaro, riconoscimento e potere dalla preparazione, dalla somministrazione e dalla pubblicazione di antidoti e farmaci, così non può essere per il curatore che è tenuto a prestare il proprio aiuto senza cercare notorietà e in modo completamente gratuito, pena la perdita di ogni facoltà terapeutica. D’altra parte osserviamo che le ricette divulgate nei secreti non sono così semplici da riprodurre come a volte parrebbero fare credere e spesso contengono informazioni incomplete o vaghe quanto basta da lasciare trasparire filoni di conoscenza esoterica e trasmessa su base iniziatica: i secreti sono spesso effettivamente legati a un secretum operandi. Mentre i rimedi popolari, pur trasmessi da bocca a orecchio e in forma tutt’altro che ostensiva, normalmente non contengono complicazioni né spazi di ambiguità, considerando che il vero ingrediente terapeutico è solo la fede quale necessario veicolo della grazia. I curatori, poi, non agiscono né per lucro né per fama, non possono accettare denaro, senza dimenticare che la gratuità è anche necessità sociale, in tempi e ambienti dove i poveri non possono agevolmente accedere al medico.
Un racconto riportato in un testo della metà del secolo XVI illustra bene questo duplice aspetto legato alla gratuità e al dispregio del segreto per cosa, mercè la grazia, dovrebbe essere messo a disposizione di chiunque.

Trovossi tre bon frati che adavano per erbe et seme, radicate per sanare colpi et ferite de spade et de lanciate. Trovolli Jhesu Christo et disse: «Dove andate tre bon frati? » «Andamo per erbe, seme et radicate per sanare colpi et ferite de spade et de laciate. » «Tornati indietro, tre bon frati, per lo latte de la Nostra Donna lo giurate, segreto non lo tenerite, denari non pigliarite; andate a monte Oliveto et pigliate olio de oliva et lana pecorina et dite tre volte: “Commo la piaga non dolse, non procurata acolse e nervo non ritrosse, cusì non doglia questa piaga non procurata, non acolga et nervo non ritraga; piaccia a Dio et a la Virgine Maria”». Dirai tre volte et omne volta fari un segno de croce su la ferita con la ditta lana bagnata con olio et vine casto per 9 dì et non magnar aglio, plume et aceto, et quando mediche sta in ginocchio nudi et non tenere arme adosso nè berretta in testa. [36]

3. Una digressione (forse solo apparente)
Abbiamo osservato che i rimedi popolari non sono trasmessi in forma scritta, non sono divulgati, in qualche misura sono vincolati non tanto alla segretezza quanto, piuttosto, alla riservatezza, ché delle parole, dei gesti, delle sostanze e degli oggetti usati non si dà volentieri notizia pubblica. Un ricordo personale: mia madre, nata nel cuore della Toscana nel 1925, ha appreso i riti della segnatura da sua madre e me ne ha parlato, ma chiedendomi di non scriverli, non solo per una forma di discrezione verso cosa non va bene divulgare senza cautela, ma anche per ritrosia a diffondere cosa potrebbe essere oggetto di vana curiosità, miscredenza o derisione e diventare stigma di arretratezza culturale. Le cose più delicate e personali – e quanto ha a che fare con la fede e con i piani sottili della trascendenza è sempre cosa molto delicata e personale – non si dicono “a cuor leggero”, non si “mettono in piazza”. E in più, da parte della gente di popolo, da parte dei contadini, è comprensibile e giustificato l’imbarazzo per essere studiati da chi ha studiato, di essere indagati e quasi violati nell’intimità delle proprie convinzioni, e trattati come insetti sotto i vetrini di entomologi sociali, come case-study, come attori nel teatro del mondo da chi si pensa in platea, osservati magari con simpatia, con rispettosa distanza, ma nell’asimmetria della relazione tra osservatore e osservato, tra chi analizza e chi è analizzato, tra chi pur con benevolenza e tolleranza riconosce un valore relativo e contestuale a un linguaggio di usi e convinzioni, ma bollate come superstizioni e credenze, e chi, senza mediazioni, agisce quel linguaggio nella certezza del suo valore. Relatività e tolleranza formano il viatico che anestetizza e accompagna la scomparsa delle culture, e apre la porta ai musei di cosa è dichiarato “altro” e non c’è più o si ritiene destinato a non essere più. Di fronte a un mondo di valori certi, di fronte a un cosmo ordinato secondo orienti stabili e permanenti, la relatività e la tolleranza suonano come risposte inadeguate: la prima genera nuova relatività, la seconda conduce all’indifferenza.

4. Un’osservazione per concludere
Il tema delle segnature ci accompagna sul confine tra religione e magia, e più in generale le cure popolari e i ricettari di antico regime vivono in prossimità di questo confine, con rimedi che, al di qua delle distinzioni tra generi letterari e delle semplificazioni che abbiamo posto, scivolano con ambiguità su un piano o sull’altro, qualche volta con una disinvoltura che disorienta. Ne dà buona testimonianza il Ricettario magico urbinate, [37] un manoscritto risalente agli anni successivi al 1546, dove si incontrano elementi della secretistica, insieme con ricette di segnature, richiami alla magia naturale e operativa, e alla kabbalah. [38] Lo scivolamento è comune anche tra i rimedi popolari quando l’invocazione a Dio e ai suoi intercessori maschera una volontà coercitiva sulla natura delle cose, ciò che è proprio della magia, come può tradire la certezza del raggiungimento degli effetti desiderati: dì queste parole, compi questi atti, e per il loro potere certamente guarirai. Ci si rivolge a Dio, ma in realtà si evocano forze ed energie per costringere la natura a fare quello che spontaneamente non farebbe. E il mago, perché conosce e controlla le forze del cosmo e le qualità intime dei suoi elementi, tenta di piegare la natura e le potenze spirituali ai suoi voleri. Invece attraverso la preghiera, che non piega nulla, si chiede cosa si sa che non è dovuto e non può essere imposto, ma può essere ricevuto per volontà e grazia divina. [39] Il confine tra religione e magia – al di là di ingredienti, parole, oggetti e atti sacramentali – all’interno della nostra cultura impressa dalla matrice cristiana, nella terapeutica popolare delle segnature di fede lo leggiamo nell’adesione al precetto fissato nei Vangeli e consolidato dalla tradizione nel corso del tempo. [40]

Chiedete con perserveranza, e vi sarà dato; cercate senza stancarvi, e troverete; bussate ripetutamente, e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve, chi cerca trova, e sarà aperto a chi bussa (Lu 11, 9-10); infatti: Chi è quel padre fra di voi che, se il figlio gli chiede un pane, gli dia una pietra? O se gli chiede un pesce, gli dia invece un serpente? Oppure se gli chiede un uovo, gli dia uno scorpione? (Lu 11, 11-12). Nella Lettera di Giacomo questo precetto è rinforzato: C’è tra voi qualcuno che soffre? Preghi. C’è qualcuno d’animo lieto? Canti degli inni. C’è qualcuno che è malato? Chiami gli anziani della chiesa ed essi preghino per lui, ungendolo d’olio nel nome del Signore: la preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo ristabilirà (Gc 15, 13-15), e confermato nel versetto successivo: La preghiera del giusto ha una grande efficacia (Gc 15, 16). [41]

In forza di questo precetto il curatore invoca il nome di Gesù, la Trinità, l’intermediazione di Maria e dei Santi, chiede la guarigione, e lo fa insieme con  formule, sostanze e atti apparentemente estranei all’orizzonte della fede. Potrebbe essere fuorviante interpretare l’associazione di gesti, benedizioni e parole di preghiera con questi elementi apparentemente estranei, come espressioni di sincretismo o come tracce di una permanenza di riti arcaici sopravvissuti al Cristianesimo, per quanto camuffati o addomesticati. [42] Leggere i comportamenti secondo una genealogia (progressiva) di anticipazioni o (involutiva) di persistenze, apre a un’interpretazione lineare della storia della cultura tutt’altro che scontata e disconosce l’originalità di una sapienza popolare dove la tensione verso il cielo della trascendenza convive senza contraddizione con il legame verso la terra e le forme immanenti della vita. [43]
Fino a dove formule, sostanze, oggetti e gesti curativi non sono arrogati di un potere impositivo e non diventano loro stessi, non i veicoli ma, gli artefici della guarigione, fino a dove ogni rimedio è subordinato a un a Dio piacendo e a un amen, resta netta la distinzione che permette di non assimilare alla magia – e, per altri aspetti, alla medicina empirica – la terapeutica popolare di fede sulla quale si fondano le segnature. L’utilizzo di elementi semplici di uso quotidiano durante il rito di guarigione non è legato al potere intrinseco di quegli elementi, ma, come espressione di religiosità naturale, rinvia al loro valore simbolico e li carica di significati mistici. Allo stesso modo, le formule e gli atti che accompagnano le preghiere nei riti di guarigione per quanto somiglino a parole e gesti consueti – se ne distinguono per una forza misteriosa, mistica, sovrannaturale. Esteriormente l’acqua santa non è diversa dalla normale, ma scaccia i demoni, guarisce dal malocchio ed è d’aiuto contro i malanni. [44]

Il ricorso a forme di religiosità naturale, negli usi curativi popolari, non contraddice la fede, ma asseconda la necessità di rendere visibile l’invisibile, esprime l’adesione ad archetipi della cultura che uniscono ogni uomo alla catena delle generazioni e rendono ognuno figlio della propria terra, confermandolo in un linguaggio e in un sistema di lettura e comprensione del mondo e della vita condivisi, ripetuti e tramandati da innumerevoli uomini e donne senza nome e, fosse anche solo per questo motivo, mai vissuti invano.


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Revisione della comunicazione presentata, con lo stesso titolo, al convegno “Secretum secretorum. I libri di segreti all’alba della scienza moderna” (Genova, Facoltà di Lettere e Filosofia, 30 maggio 2011), già pubblicata in Autori vari, Secretum secretorum. I libri di segreti all’alba della scienza moderna, cur. Paolo A. Rossi e Ida Li Vigni, ed. Nova Scripta (Genova), 2011.

[1]      Racconti, 1860-1911 / 2008: 202.
[2]      La forma secreti, che rinvia immediatamente a “secernere”, nel passaggio tra XVI e XVII secolo era più usata e comune rispetto a segreti.
[3]      Thorndike, 1923-1958. 
[4]      Eamon, 1994 / 1999; Rizzardini, 2010; anche Ferguson, 1959.
[5]      Su questo aspetto, vedi, per esempio, Giardino, 1589; Biscottino.
[6]    Di autore anonimo, edito da Emanuele Rossi, Milano 1862. Si noti l’espressione “medicina domestica”, adatta alle patologie più elementari e al primo pronto soccorso, che esprime una cautela solo due secoli prima – in periodo di piena fioritura del genere – ignota.
[7]      Gabriele Falloppio (1523-1662), in 1563 / 1650, prefazione, scrive: «… trovandosi così confuso & senza ordine alcuno, Io di giovare à tutti, secondo quelle poche forze ch’Iddio m’ha date, con quel miglior modo che s’è potuto, ho distinti questi Secreti, in tre Libri particolari andando di grado, in grado, cioè, che nel primo libro ho collocate le cose medicinali. Nel secondo l’acque e vini. E nel terzo tutti gli altri Secreti, e ricette, che servono per curiosità, e dilattione». Vedi anche Filigeo di Lao, 1711 / 1713,  prefazione: «sappij che il commun bene fù l’unico motivo che [...] lo facessi partecipe al Mondo. Nei primi tre libri havrai trecento rimedij à diverse infermità che alla fralezza dell’Human Genere, rubbano ingordamente il Tesoro della Salute. Nel quarto vi scorgerai non senza diletto, molte curiosità; collimanti all’ilare mantenimento della Vita humana. E nell’ultimo con gioja osserverai, le virtù di molte Gemme, Pietre Polveri e Ricette Preziose; che giovano per conservare o ricuperare il maggior Tesoro di questa terra la bramata Salute».
[8]      “Per sciogliere i calcoli o la sabbia. Prendi il sangue e la pelle delle lepre e sistemali in un vaso di terra, poi bruciali e riducili in cenere. E quella cenere, un cucchiaio sciolto in acqua calda, dalla bere al malato e certamente sarà guarito. per capire se c’è acqua nel vino. Prendi il nocciolo di una pesca ben secco, taglialo a metà e immergilo nel vino: se c’è acqua va a fondo e torna su, se non c’è acqua sta sul fondo. per preparare una tavola per dipingere. Prendi un osso di castrato arso fino a diventare bianco, ben macinato con acqua; lascialo seccare e fanne un pane. Se vuoi imbiancare la tavola per dipingere, prendine un po’ con un dito, strofinala con uno sputo, lascia seccare e poi dipingi. Così puoi fare anche sulla carta”. Le ricette sono contenute in un manoscritto del tardo secolo XV – inizi XVI, conservato nella Biblioteca Universitaria di Genova (Ms.VI.4), parzialmente pubblicato in Et io ge onsi le juncture, a cura di Giuseppe Palmero, Le Mani, Recco (GE) 1997: vedi le pag. 21, 44, 54.
[9]     Sulle differenze tra la medicina dei dotti e quella degli empirici, Capitanucci, 2005: 2 assimila la medicina degli empirici a quella popolare: «In questa sede si intende offrire uno spunto di riflessione sulla presente situazione, attraverso un breve excursus storico sui rapporti, non di rado conflittuali, tra la medicina accademica dei litterati e quella popolare degli ‘empirici’, nel periodo in cui si andava formando la nuova visione scientifica del mondo».
[10]    Alessio Piemontese, 1555. Su Alessio, vedi in questa stessa pubblicazione il contributo di Massimo Rizzardini.
[11]    Fioravanti, 1561; Cortese, 1561. Su Isabella, vedi in questa stessa pubblicazione il contributo di Massimo Marra.
[12]    Della Porta, 1558. L’opera sarà progressivamente integrata e ampliata fino al 1589, quando uscirà Magiæ Naturalis libri XX (Della Porta, 1589).
[13]    Gesner, 1552.
[14]    Durante, 1586, in chiusura del prœmio.
[15]    Boldo, 1575. nella prefazione, tra le cose non naturali, Boldo elenca «l’aere, l’esercitio, la quiete, il sonno, la vigilia la repletione, & la vacuatione & anche li accidenti dell’animo».
[16]    Alla scheda descrittiva segue una parte narrativa “Historie naturali”: Pisanelli, 1583 / 1596: 45. Del trattato di Pisanelli sono uscite 15 edizioni prima del 1600, 26 prima del 1630.
[17]    Sulla contaminazione dei titoli, vedi, per esempio: Manente, 1538; Tomaso da Francolino, 1617; Filigeo di Lao, 1711.
[18]    Galeno, 1562.
[19]    È opinione diffusa che la parola macrobiotica sia stata coniata negli anni Sessanta dello scorso secolo da Georges Oshawa (Nyoiti Sakurazawa) e si riferisca a un regime alimentare proveniente dall’estremo oriente e antico quanto la memoria e documenti non possono riferire; in realtà, Oshawa aveva attinto la parola da Christoph W. Hufeland, autore di un trattato d’igiene denso di suggerimenti per conservare la salute e vivere a lungo (Jena 1796), che nel titolo della terza edizione (Berlin 1805) per la prima volta introduce la parola “Makrobiotik”.
[20]    Frate Indovino, 1963: numerose volte riedito e ristampato fino a oggi; dello stesso genere, Mességué, 1997.
[21]    Gli esempi sono tratti Filigeo di Lao, 1711: 40, 50, 56.
[22]    Durante, 1586, prœmio. Castore Durante è anche autore di un grande Herbario Nuovo (1585). L’Herbario, luogo d’incontro e sovrapposizione tra tesori e secreti, contiene «discorsi che dimostrano i Nomi, le Spetie, la Forma, il Loco, il Tempo, le Qualità, et le virtù mirabili dell’Herbe, insiem col peso, et ordine da usarle, scoprendo rari secreti et singolari rimedij da sanar le più difficili Infirmità del corpo humano».
[23]    Sulle pratiche terapeutiche popolari, per le regioni italiane esiste una documentazione etnografica estremamente estesa. Ci limitiamo a menzionare i classici studi di Pitré, 1878; Zanetti, 1892; Pazzini, 1948.
[24]    In Tomaso da Francolino, 1617, rileviamo in 5 ricette su 44 un ripetuto riferimento all’aiuto divino insolito tra i libri di secreti: “Guarirai con l’aiuto di Dio” (Per la infiammatione d’occhi ò doglia di testa); “Haverai la sanità con l’aiuto di Dio” (Per la rottura, purché non sia intestinale); “Sanarai con l’aiuto di Dio” (Per sanare la scarantia); “Con l’aiuto di Dio guarirai” (Per le scrofole);, “Con l’aiuto di Dio in breve andarà via la febre” (Per la febbre quartana).
[25]    Anche nei tesori si annotano alimenti e prodotti più efficaci contro i vermi – qui prendiamo come riferimento Durante, 1586, e Arnobio, 1602. Per uccidere ed espellere “i vermini dal corpo” sono efficaci l’aglio [Durante: 111], i noccioli delle pesche [Durante: 170-171], il cedro «pesto et dato con agro di cedro a digiuno» [Durante: 128]; Durante, riprendendo Plinio, osserva che «dopò il cibo non bisogna lavar le mani con acqua calda, perche genera vermi nel ventre, et la ragione è perche con l’acqua calda si tira fuori il calor naturale, onde ne viene digestione imperfetta la quale è potissima cagione de i vermi» [Durante: 12-13]. Tra gli ingredienti richiamati da Arnobio, troviamo che il dente di lamia, o glossopietra, che si trova «nella terra illuminosa, di color fusco, crocco, cioè incarnato» per i vermi dei fanciulli è più efficace della Pietra del Bezaar, «come intesi da uno che esperimentò l’uno e l’altro» [Arnobio: 175]; contro i vermi è utile anche tutto quanto «allarghi o restringa [...] e tanto più se sono cose secche e contrarie alle putrefationi e corrottioni» [Arnobio: 175], il sangue [Arnobio: 213], l’unicorno del rinoceronte [Arnobio: 207], ma più di ogni altro rimedio è utile l’avorio “sincero, calcinato per vecchiezza” [Arnobio: 226].
[26]    Giovanni Boccaccio, Decameron, VII, 3, 30-31: «Comare, questi son vermini che egli ha in corpo, gli quali gli s’appressano al cuore e ucciderebbonlo troppo bene; ma non abbiate paura ché io gl’incanterò e farogli morir tutti, e innanzi che io mi parta di qui voi vederete il fanciul sano come voi vedeste mai». Citato in Astori, 2000: 120.
[27]    Donzelli, 1667 / 1726: 53. A pagina 359, Donzelli annota che «l’acqua di Mercurio si dà la bevanda d’ogni tempo, e si tiene per secreto grande, per uccidere i vermi dentro di qualsivoglia persona grande, o picciola, che sia». Il Teatro tra il 1667 e il 1726 è uscito in 19 edizioni.
[28]    Becciani, Raccolta.
[29]    Ghiglino e Altre, 1991: 45. La testimonianza continua: “Bisogna segnarli [i vermi] per due, tre o quattro volte, ossia finché ci sono; inoltre, secondo D., bisogna segnarli dopo il calare del sole, perché se si segnano prima che il sole sia calato possono ritornare; segnandoli alla sera, invece, il sole se li porta via”. Per la descrizione di altre procedure di segnatura: Turchi, 2007, dove si segnala che non tutti i vermi erano maligni e dovevano essere segnati e che, secondo alcuni, occorreva  tralasciare dalla segnatura il ‘gran maestro’ o ‘caporale’ o – come era nominato in una filastrocca che avevo raccolto – «verme maestrale, che non fa né bene né male».
[30]    Come la seguente formula che risale al XIV secolo: «Mediscina a ucidere bachi [vermi] tuti del corpo… Chi avesse migniatti, inscrivi queste parole e non potrà perire: ne la fronte iscrivere ono, nel peto escrivere manovello, ne la mano manasti, nel ginochio iscrivere gobo, nel piè iscrivere vermi. Anchora è buona mediscina a chi avesse i detti bachi iscrivere sul dito grosso del piede Iobe», estratta da Una curiosa raccolta di segreti e di pratiche superstiziose fatta da un popolano fiorentino del sec. XV e pubblicato per cura di Giovanni Giannini (1898), pubblicata in Astori, 2000: 113.
[31]    «Quando si segna bisogna ungersi le dita con un po’ d’olio perché scivolino meglio sullo stomaco e sulla pancia, se no resta tutta la pelle rossa, specialmente dopo aver segnato. [... i segni della croce] io non li faccio, non dico neppure il Pater Noster, io non dico niente. [...] perché quando si sentono che vanno giù con le mani si schiacciano, si fanno andare giù … con i Padre Nostro dove vuoi che vadano? Non vanno certo giù con i Padre Nostro», in Ghiglino e Altre, 1991: 36-37.
[32]    Sulla conformità dei secreti al processo rinascimentale di laicizzazione della natura, anche Eamon, 1994 / 1999: 103-104.
[33]    Evonomo Filatro, 1552 / 1560,  prefazione.
[34]    Sull’uso della rima nelle formule popolari, esiste un’estesa esemplistica nella bibliografia etnografica. La pagina Malattie e medicina popolare: Sa meighina ‘e s’oju [La medicina dell’occhio] nel sito www.sarditrieste.it riporta: «Sant’Andria, sant’Andria / malaida est fiza mia / un dolore a sa’ entre / ‘enide prontamente / ponideli sa manu. / Pannuzzu asciuttu /passa ‘ettada / custu dolore ‘e matta / chi li siat passada.» Si recitava la preghiera per tre volte, si aspettava un po’, poi alla persona sofferente si soministrava con un cucchiaino un intruglio formato da due gocce d’olio e un po’ di cenere, il dolore in questo modo gli sarebbe passato.
[35]    In questo anteposizione fra ripetizione e innovazione possiamo ritrovare la contrapposizione tra cosa contraddistingue la civiltà del commento e cosa la civiltà della critica, messa in luce in Zolla, 1971, primo capitolo.
[36]    “A guarire ferite con olio et lana”, in Ricettario, 1546 / 1977: 155-156, mio il corsivo. Un precedente di questa historiola lo troviamo quasi tre secoli prima in una raccolta di scongiuri del secolo XIII: «A volere incantare le ferite, innanzi che vi si ponga null’altra medicina, farai così. Togli della lana sudicia di pecora, intinta nell’olio della uliva, e farai il segno della croce tre volte, e dirai così: “Tre buoni frati per una via s’andavano; in Gesù Cristo si scontrarono. Disse Gesù Cristo: “Venite qua, tre buoni frati. Voi mi prometterete per la santa crucifissione e per la Vergine Maria, che nascoso nol terrete e prezzo non ne torrete. Andate in su monte Uliveto, e togliete lana sucida di pecora e olio di uliva, e direte: “Come Longino ferìe il nostro Signore Gesù Cristo in fianco, e passò; e quella ferita olse e non dolse e sangua non raccolse e nerbo non retrasse; così questa ferita oglia e non doglia e sangue non raccoglia e nervo non rattragga, per quel signor che vive in sæcula sæculorum; amen»: mio il corsivo, pubblicato da I. Baldelli, Scongiuri cassinesi del sec. XIII (1965) e riportato in Astori, 2000: 102.
[37]    Ricettario, 1546 / 1977. Il Ricettario precede di pochi anni il De’ secreti di Alessio Piemontese: ricordiamo che non si trattava di una pubblicazione, ma di un manoscritto riservato alla lettura interna, scritto con la consapevolezza di non potere essere divulgato, per il rischio di cadere sotto l’attenzione dell’inquisizione, come si può capire leggendo i suggerimenti per non essere imprigionati o non confessare se interrogati: Per non essere retenuto in prison (1977: 49); «Et quando te vole mettere a la tortura di’ queste parole Hos non comminuetis ex eo» (1977: 145). 
[38]    “Acciò no te noca arme + Agla + Johas + Aglata + Glas + dille omne matina” in Ricettario, 1546 / 1977: 105. I curatori del Ricettario ricordano che la formula “Agla” – che figura in altre ricette, come attesta un codice del secolo XIII (Belgrano, 1890: 9) – è l’acronimo di Athat Gabor Leolam Adonai (“Voi siete potente ed eterno, o Signore”), “invocazione a Dio usata per scacciare i demoni dai rabbini cabalisti (Ricettario, 1546 / 1977: 208).
[39]    Su questi spunti, vedi la breve ma intensa nota introduttiva di Roberta Astori (2000) e, ancora, Astori, 2004. Sul tema, in una prospettiva antropologica, anche: Mauss,  1950; De Martino, 1973, e Todorov, 1993.
[40]    Indipendentemente dall’interpretazione che si può dare intorno all’efficacia di alcune pratiche curative popolari, osservo che nelle testimonianze che ho ascoltato intorno a questo argomento, le persone curate attraverso le segnature hanno sempre affermato – non ricordo eccezioni – di essere guarite dal male sofferto.
[41]    Sul tema, Meehan, 2001.
[42]    La ricerca etno-storica ed etno-antropologica sottolinea volentieri la commistione di pratiche magiche e religiose nella cultura popolare, in particolare nel mondo contadino, come effetto di un atteggiamento sincretistisco dove espressioni di culture differenti sono confuse su un medesimo piano di valori e pressoché senza distinzioni tra atti cultuali e atti di superstizione. Dei, 2009, paragrafo 6: «Il sincretismo magico-religioso dev’esser sottolineato come una delle caratteristiche più vistose della concezione del mondo contadina tradizionale. Ai santi e al loro culto è collegata una vasta oggettistica, che comprende immagini e ritratti, medaglie, reliquie che svolgono funzione di amuleti e sono dotati di potere soprattutto protettivo e talvolta terapeutico. Analoga funzione è svolta da oggetti benedetti – acqua santa, rami d’ulivo etc.». Sul tema, tra gli studi che si potrebbero citare segnalo: Cardini, 1979 / 1985; Di Nola, 1989.
[43]    Su un’attenzione talvolta eccessiva verso la riconduzione di tratti di conoscenze e usi popolari al ruolo di sopravvivenze e lacerti del passato a scapito del contesto attuale e unitario nel quale sono espressi, trovo opportuna un’osservazione di Fabio Dei intorno al sapere medico popolare (2009, paragrafo 3): «Individuare l’origine dei singoli tratti che lo compongono è molto difficile. Gli studiosi sono stati colpiti (in questo come in altri ambiti del folklore) dalle concordanze con tratti riscontrati nelle culture classiche e medievali, e persino (soprattutto in relazione agli aspetti magici) con quelle di interesse etnologico. Ha avuto così fortuna nella letteratura l’idea di un’origine ‘antichissima’ di certe credenze e pratiche contadine contemporanee. Si tende a pensare che esse affondino le radici in un substrato profondo della evoluzione della civiltà umana, dominato da concezioni animistiche e ‘simpatiche’. Si tende a pensare ancora, a permanenze ed elementi di ‘lunga durata’, se non addirittura a ‘sopravvivenze’ come chiave per la comprensione del modo di pensare e delle pratiche cultuali contadine. Ma stabilire discendenze genealogiche di tratti culturali (l’origine di presta pratica è …), ed istituire comparazioni in senso diacronico, sono sempre operazioni complesse e assai incerte (non da ultimo perché le analogie formali possono nascondere profonde differenze di significato, e viceversa). Occorre resistere ad un’applicazione troppo disinvolta del concetto di sopravvivenza alla cultura contadina, presentandola come troppo schiacciata sul passato, passiva ripetitrice di modelli antichissimi sempre uguali a se stessi».
[44]    Florenskij, 1909 / 2010: 13.

 

 


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